Qualche giorno fa vi abbiamo parlato di Napodano, della sua passione per la musica e del suo nuovo singolo, ma chi è Napodano?
Musicista cantautore italiano residente in Belgio, metà artista e metà ratto, Napodano è nato e
cresciuto in un contesto fortemente musicale, muovendo già in tenera età i suoi primi passi sul
pianoforte. Dopo anni di incessanti incursioni attraverso mondi e generi musicali, di viaggi ed
esperienze, il suo cammino è stato illuminato dall'adozione di una coppia di ratti. Amandone
profondamente l'indole e il comportamento, entra in simbiosi con i roditori trovando l'ispirazione per
realizzare il singolo che porta il nome del suo EP, “Storia di un Ratto. Dopo l'interessante successo
radio e stampa del secondo singolo "Lucciole" dall'album Sarà la libertà (Street Label Records),
Napodano rinfresca il suo sound avvicinandolo alla nuova scuola indie pop.
Per conoscerlo meglio gli abbiamo fatto una breve intervista...
1. Dove e quando nasce la tua passione per la musica? Passione? Io la chiamo piuttosto istigazione al rumore! Sapevo camminare a malapena quando passavo le serate sulle ginocchia del bassista di mio padre, che tra l’altro era anche il mio pediatra, sui palchi più diversi e disparati; le serate ai concerti dei suoi amici musicisti, che erano presenze costanti in casa, e la casa stessa piena di strumenti musicali; praticamente ho dovuto solo scegliere su quale mettere le mani.
2. “Maledetti anni 80" è il tuo nuovo singolo, come nasce questo testo? Pensavo, dopo essere diventato padre, di quanto belli erano i momenti da figlio, negli anni ’80, spensierato e felice, e con un po’ di nostalgia, ho sognato di raccontarli a mio figlio, dicendogli però che proverò qualunque cosa per far provare a lui tutta la felicità che ho provato io.
3. Dal contenuto del testo al suono, alla fase di registrazione. Come nascono solitamente le tue canzoni? Io mi occupo della produzione a fasi alterne: scrivo il testo e la musica, registro una base piano e voce e la mando al mio produttore, Samuel Rafalowicz; lui crea l’arrangiamento mettendoci sopra gli strumenti che abbiamo deciso in precedenza, poi ritorno presente in fase di “decorazione” e di missaggio, al fine di dare al brano le tonalità di colore che sentivo appropriate durante la scrittura.
4. Viaggiando molto ti sarai certamente trovato di fronte a diverse realtà, cosa ti porti dentro di queste esperienze e cosa ti hanno insegnato? Una in particolare per spiegarle tutte: ero appena maggiorenne, a Londra. Andavo in cerca di locali dove facessero jam session perché mi sentivo tecnicamente e musicalmente bravissimo (ero estremamente presuntuoso e sciocco); trovai questo posto fighissimo, entrai e alla prima occasione ero già al piano. Sfoderai tutto il repertorio tecnico, duemila note a duemila all’ora. Poi si siede un tizio, adulto, nero, calmo e simpatico. Suona tre note, tre. Io quelle note non le avevo mai sentite, avrei giurato che se le era portate da casa. Con quelle tre note diede un colore tale al brano che la sala s’illuminò a giorno. In quel momento tutto era chiaro: io di musica non ci capivo niente. Ogni esperienza, ogni viaggio, ogni insegnamento…la musica è come la vita, più ne vivi, più diventa parte di te.
5. A chi devi il tuo più grande grazie e perché? Alla mia famiglia perché con la musica mi ha trasmesso la possibilità di vivere, lavorare ed essere una persona libera e felice e a Simona perché oltre alle soddisfazioni, alle sconfitte, agli attimi di tristezza o peggio, di staticità, mi dice sempre di non arrendermi mai.
Se vi abbiamo incuriosito e volete seguirlo, qua sotto trovate i link ai suoi social:
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